30 marzo 2006

Distribuisci tutto quello che hai.

Per quanto bello sia per te, non conservarlo mai. (…) Sì, se non riesci a trovare qualcuno, dallo ai cani, ma dallo; dallo alle pietre, ma dallo. Quando hai perle, gettale; non importa se ai santi o ai porci, tu gettale; perché quello che conta è dare. Tenere per sé avvelena il cuore, qualunque sia il modo in cui tieni, è velenoso. Se dai, il tuo organismo non si avvelenerà.
E quando dai, non preoccuparti che sia ricambiato, non aspettarti un grazie. Sii grato a chi ti ha permesso di dargli qualcosa, non altrimenti; non aspettarti in fondo al cuore che ti sia riconoscente per avergli dato qualcosa. No, sii tu ad essergli riconoscente perché è stato disposto ad ascoltarti, a dividere un po' di energia con te, perché è stato disposto ad ascoltare la tua canzone, perché è stato disposto a unirsi alla tua danza; perché quando hai voluto dargli non ha rifiutato… avrebbe potuto rifiutare. Dare è una delle virtù spirituali più grandi, la più grande…
Dando ti arricchirai. Non tenere per te. Quando tieni vai contro Dio, quando cominci a tenere , cerchi di dipendere da te stesso, hai perso fiducia nella vita. Dai. Come la vita ti ha dato, così tu dai; di più arriverà."
"Nel momento in cui diventi consapevole di chi sei, immediatamente ti si aprono i misteri dell'esistenza. Il Regno è tuo, e lo è sempre stato. Allora accade qualcosa che si radicherà in te; nemmeno la morte può portarlo via. Un uomo è realizzato solo quando arriva a qualcosa che non può essere portato via dalla morte."
Osho

29 marzo 2006

eclissi


.
…arriva l’orco proprio 20 min, prima dell’eclissi, cavoli!
E mi fa pure delle domande, da latte alle ginocchia che non ho affatto voglia di ascoltare, né tantomeno rispondere.
12,15 cavoli è già iniziata, vado fuori, guardo, mi fanno male gli occhi, ma capisco che sì, c’è la vedo.
E adesso? Con cosa guardo? Non ci avevo pensato.
Cerco, cerco, niente, neanche un vetro nero o qualcosa che ci somigli, porca paletta, cerco, cerco, trovo una bottiglia vuota, di quelle scure, penso che forse va bene.
Esco fuori prendo un sasso, e bam!, non si rompe, riprovo niente, mannaggia, mi nascondo dietro la casa e la lancio su dei sassi…oh, non si rompe!
Allora tiro più forte, si rompe il collo, e basta, cavoli! Tiro ancora…oh niente! Ma che razza di bottiglia è??!!!!
Ok, tiro così forte, che va in frantumi, prendo un pezzo, guardo su, ma niente, non va mica bene, cacchio, e i minuti passano.
Poi penso, che ci vorrebbe un vetro da scurire, mmmh, cerco, trovo una candela, trovo pure un vetro, ma non ho da accendere!
In tutto il negozio non c’è un cavolo d’accendino, nella mia macchina, men che meno….ah, la macchina dell’orco!
Vado, proprio una scatola di fiammiferi!
Ne prendo un po’ e vado, provo ad accenderli, niente, porca paletta, son di quelli che si devono accendere sulla scatola! Torno fuori, in macchina, la prendo, torno dentro, accendo, ok! Scurisco il vetrino, e vado…
L’orco non so cos’avrà pensato, ma non si è accorto di nulla!
Eccola là l’eclissi!
Che meraviglia!
Non ho visto nessuno guardare in su, l’unica scema ero io!
Ho ripensato alla germania, a quando abbiamo corso come pazzi x raggiungerla, sbagliando pure a guardare la cartina! Che ridere!
C'è tempo.

Dicono che c'è un tempo
Per seminare
e uno che haivoglia
Ad aspettare
Un tempo sognato che viene
Di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare

C'è un tempo negato
E uno segreto
Un tempo distante
Che è roba degli altri
Un momento che era meglio
Partire
E quella volta che noi due
Era meglio parlarci

C'è un tempo perfetto
Per fare silenzio
Guardare il passaggio del sole
D'estate
E saper raccontare
Ai nostri bambini quando
È l'ora muta delle fate

C'è un giorno
che ci siamo perduti
Come smarrire un anello
In un prato
E c'era tutto un programma
Futuro
Che non abbiamo avverato
È tempo che sfugge
Niente paura
Che prima o poi ci riprende
Perché c'è tempo, c'è tempo
C'è tempo, c'è tempo
Per questo mare infinito
Di gente

Dio, è proprio tanto che piove
E da un anno non torno
Da mezz'ora sono qui arruffato
Dentro una sala d'aspetto
Di un tram che non viene
Non essere gelosa di me
Della mia vita
Non essere gelosa di me
Non essere mai gelosa di me

C'è un tempo d'aspetto
Come dicevo
Qualcosa di buono che verrà
Un attimo fotografato, dipinto, segnato
E quello dopo perduto via
Senza nemmeno voler sapere
Come sarebbe stata
La sua fotografia

C'è un tempo bellissimo
Tutto sudato
Una stagione ribelle
L'istante in cui scocca l'unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo
Da molto lontano
È il tempo che è finalmente
O quando ci si capisce
Un tempo in cui mi vedrai
Accanto a te nuovamente
Mano alla mano
Che buffi saremo
Se non ci avranno nemmeno
Avvisato

Dicono che c'è un tempo
Per seminare
E uno più lungo per aspettare
Io dico che c'era un tempo
Sognato
Che bisognava sognare

28 marzo 2006


.

se ti parlo non rispondi.
se sto zitta mi fraintendi
quando penso ti tormenti...
ma che siamo, d'altri mondi?

(da: zarze.splinder.com)

27 marzo 2006

ateidaonos.....

....hemm....
sono a dieta....
davvero eh??!!!
cos'è non mi credete???

25 marzo 2006

notiziedalfronte


.

Or dunque, chiamo Vitto, all’una, per sapere che farà a pranzo.
Con tutta l’intenzione di aprire un’argomento di qualsiasi tipo, visto che da una settimana siamo due separati in casa, e per giunta muti.
Mi diche che è al Lytos, ok vado.
Stava leggendo una rivista.
Ad un certo punto dico:
”…sai, è un bel casino…”
Così, lancio un sassolino, e aspetto…
Dice: “casino? X cosa, non sai quando prendere l’aereo?”
SDONGH! I maroni ruzzolano sotto al tavolo…
Mangiamo.
Lancio un altro sasso:
“ ma TU, cosa pensi?”
Mi chiede se mi son licenziata, dico, no, e mi chiede cosa sto aspettando, che non ha intenzione di passare un altro mese, che poi una mattina mi trovo le valigie in macchina.
Che lui ci ha riflettuto, e io mi son messa in testa delle cose inesistenti, che non stanno né in cielo né in terra.
Che magari la motivazione è un’altra, cioè un altro, che lui non è nato ieri.
Che un giorno, mi renderò conto di quel che sto facendo, e sarà troppo tardi.
Dico: …magari te ne accorgerai, pure tu….
Dice, che NO!, lui se né già accorto, anzi, mi ringrazia, non son fatta per lui, e forse mi ha sopravvalutato, e ha voluto sempre vedere una Simona che non era.
Dico: e quale sarebbe in realtà?
Dice che sono una che non ha voglia di sbattersi per niente, che la vuol tutta facile, che sono come la cicala e un giorno andrò a bussare alla porta della formica. Che mi accontento di un lavoretto, e non avrò neanche i soldi x farmi la casa.
Che lui invece è come la formica, si sbatte per le proprie cose, e a 50 anni di certo non potrà dire di non aver fatto nulla.
Beh, certo che devo dire che, lui, formicone, certo non si è sbattuto per ascoltarmi, certo non si è sbattuto, quando gli ho detto, “guarda che non va bene così”, ha detto, solo, tanto lo sapevo…
E questo mi lascia di stucco, ma sì, devo sbatterci la testa ben benino.
Mi devo fare venire il bernoccolo.
Non mi ha ascoltata prima, che avevo tutte le mie seghe, non lo fa ora.
E’ solo capace di dire, allora????, quando??? E di dire che continuo ad avere tutte le mie seghe inesistenti.
Ok. Ripeto, ben mi sta, che devo capir bene.
Che mi devo arrivare a dirmi, che cavolo ci son stata a fare tutto sto tempo, che devo bene bene capire chi ho davanti, e smettere di giustificarlo, comunque e sempre.
Devo lanciare sassi più spesso se questo è il risultato.
E devo dirgli, bene vuoi che vada? Vado. Vedrai te quanto ti mancherò.
Brutto stronzone prepotente, seghe io???
Va là va là…

24 marzo 2006

oggi silenzio

(ho cancellato la foto, boh, non si sa mai qualcuno ci riconoscesse ;-))

in ricordo di un'altro capodanno...
Vi voglio bene.
Tanto.

23 marzo 2006

mi lancio?

Sapete?
Sapete qual'è la verità??
me la faccio sotto
cavoli
sotto,
sono terrorizzata,
all'idea,
di ripartire,
cancellare,
girare,
riprendere,
cercare,
ritrovare.
Mamma li turchi,
mannaggia la miseria,
cavolino.
La testa se ne và,
è già lontana,
ha varcato il mare.
Ma il corpo è qui,
inchiodato e tremante.
Mi sento come,
in piedi,
sul ponte
del bungee jumping,
ecco quell'attimo prima di buttarti giù,
sai che non morirai,
hai una corda attaccata,
ma guardi giù,
e te la fai sotto.
Poi basta solo un'istante,
quell'istante che ti dà la forza di staccare i piedi.
Il vuoto allo stomaco,
l'assenza del respiro,
l'adrenalina...
..finito.
Ci voleva così poco?
Quasi quasi
lo rifaccio.

ricordi

Avevo detto, basta, non scrivo più!, per un po’…
Ma io non mantengo mai le mie promesse.
Come dicevo, ultimamente, guardo le cose, sotto un’altra luce.
In maniera distaccata, e distante.
Anche quello che mi circonda.
Forse perché ho più tempo per farlo, perché non sono stressata!
Un po’ come quando vai in vacanza, e continui a fare oohh, uuhh, iihh, vedi una merda spiaccicata, e ti pare che sia a suo modo “artistica”, solo perché hai la spensieratezza, e tutto è in positivo.
Sono anche in vena di ricordi, forse sempre x colpa o merito, del tempo.
Mi è venuto in mente, non so perché, un capodanno passato con Francesco, forse uno dei pochi che ricordo con vera gioia, della mia vita.
Ora, il bello è che non ricordo dove fossimo!
Da ieri ci penso, ma niente da fare, Verona? Siena? Robe da matti, non lo so.
Comunque, siamo andati nella città che non c’è, l’alberghetto era molto carino, in un vecchio palazzo, stile antico, sapeva di cera, di pavimenti consumati, di muri scrostati, di tempo passato.
La porta della camera, era in legno, vecchio, con tante mani di vernice, era una porta doppia, a due ante, proprio quelle di una volta.
Solo che se qualcuno, faceva un sospiro nel corridoio, sembrava fosse in camera!
Va beh, c’era anche il letto vecchio, che cigolava da morire, una roba da panico, come ti giravi, gnniiicch, non vi dico le risate!
Insomma ci siamo guardati la città, che non c’è, abbiamo camminato, mangiato, riso, riso tanto.
Francesco era esilarante, nei suoi momenti di luce, era di un’ironia sottile, unica, mi prendeva in giro, e mi faceva morir dal ridere.
Ci divertivamo come pazzi.
X capodanno non avevamo programmato nulla, non ci avevamo neanche pensato.
Però sapevamo di non aver voglia di caos, di ristoranti, di vestiti eleganti.
Così ci siamo detti, stiamo in camera!
Siamo andati al supermercato, uno di quei negozietti di paese dove c’è un po’ di tutto, e abbiamo comprato un po’ di cose.
Non ricordo tutto, ma sono sicura ci fossero: pomodorini, pane, olio sale, salmone, stracchino, salumi, lumini, piatti bicchieri, tegliette di alluminio, vino, tovaglia e tovaglioli rossi.
Siamo andati all’albergo, e abbiamo allestito la cena.
Abbiamo spostato lo scrittoio, ci ho messo la tovaglia sopra, col pezzo in più ho fatto 2 strisce, dalle quali ho ricavato 2 fiocchi giganti, e ci ho addobbato la tavola.
Abbiamo apparecchiato uno di fronte all’altro, poi ci siamo inventati il fornellino.
Con dei libri ho fatto 2 basi, sopra ci ho appoggiato il contenitore d’alluminio, e nello spazio sotto che si creava ho messo i due lumini.
Ecco, così ci siamo fatti dei buonissimi crostini caldi.
Ovviamente la camera era tempestata di lumini, ce n’erano ovunque.
Abbiamo passato una bella serata, divertente, e giocosa, e i siamo guardati i fuochi dalla finestra.
In effetti, ci vuole così poco, x crearsi piccoli momenti di felicità….
Già.
Il capodanno successivo non è stata la stessa cosa, eravamo a casa mia, i miei non c’erano.
Alle 23.30 io già ero sul divano tra le braccia di Morfeo, per sfuggire alle sue parole, che mi riempivano la testa.
Avrei voluto, che non ci fosse, avrei voluto non essere lì.
Le cose cambiano.

L'Animale


Battiato.

Vivere non difficile potendo poi rinascere
Cambierei molte cose un po' di leggerezza e di stupidità.
Fingere tu riesci a fingere quando ti trovi accanto a me
Mi dai sempre ragione e avrei voglia di dirti
Chè meglio se sto solo...

Ma l'animale che mi porto dentro
Non mi fa vivere felice mai
Si prende tutto anche il caffè
Mi rende schiavo delle mie passioni
E non si arrende mai e non sa attendere
E l'animale che mi porto dentro vuole te.

Dentro me segni di fuoco l'acqua che li spegne
Se vuoi farli bruciare tu lasciali nell'aria
Oppure sulla terra.

Ma l'animale che mi porto dentro
Non mi fa vivere felice mai
Si prende tutto anche il caffè
Mi rende schiavo delle mie passioni
E non si arrende mai e non sa attendere
E l'animale che mi porto dentro vuole te.

22 marzo 2006

22.03.2006 bis

Penso anche al fatto che sono ancora qui,
sì,certo che ci penso,
e in effetti è anche perchè,
vorrei fargli meno male,
ma non si può.
Mi rendo conto, che è una cosa
Quasi impossibile.
Mi sento anche in colpa,
E' vero,
e vorrei alleviargli il dolore,
curargli un pò le ferite.
Ma non si può
O non posso io.
Purtroppo l'amore è anche questo.
Già.
..e qui mi fermo.

22.03.2006

Pure oggi,
grigio, umido, triste.
Pure stanotte,
è piovuto di continuo, fortissimo,
comincio ad odiare la mia invenzione,
il tondo col plexiglass sopra.
Fa un rumore pazzesco.
Per giunta, dormivo profondamente,
e d’un tratto BOM! Un botto pazzesco,
m’ha svegliato.
Per poco non mi prende un’accidente.
Nella lavanderia,
c’è, o meglio c’era un gancio,
attaccato col biadesivo,
con la scopa e la paletta di plastica appese.
E ha deciso proprio stanotte che non ne voleva più sapere di star su!
Non potete capire che colpo mè preso!mi è venutao in mente tutto quel dialogo sui quadri che cadono,
in che film era??
Credo sia tratto da un libro di Baricco ,
il dialogo intendo.
Nel film c’è questo che fa tutta sta storia,
sui quadri, che stanno su per anni,
e d’un tratto BAM! Cadono,
e continua così x 5 minuti,
chiedendosi il perché e il per come,
di questo mistero assoluto.
Meno male poi mi sono addormentata.
Ecco, meno male si fa x dire,
mi son sognata, che stavo in intimità con una tipa,
sul sedile posteriore, di un’auto,
davanti c’erano altri 2 seduti, la macchina andava non so dove.
E io stavo lì con questa.
Lei sdraiata, con la testa da una parte,
io dall’altra.
Questa tipa aveva 2 strane caratteristiche,
la prima è che aveva il pisello,
ebbene sì,
ah già, perché ovviamente era vestita solo dalla vita in su,
la seconda è che aveva delle mani minuscole,
tipo quelle dei neonati.
Con le unghie piiiiicccooollleee.
Cmq non succedeva niente,
a parte l’osservare dita e pisello,
e accarezzare un pò entrambi.

21 marzo 2006

Non mi pento di niente di Gioconda Belli

Dalla donna che sono
mi succede, a volte, di osservare nelle altre, la donna che potevo essere;
donne garbate esempio di virtù,
laboriose brave mogli, come mia madre avrebbe voluto.
Non so perchè
tutta la vita ho trascorso a ribellarmi a loro.
Odio le loro minacce sul mio corpo
la colpa che le loro vite impeccabili,
per strano maleficio mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti notturni sotto il cuscino,
contro la vergogna della nudità sotto la biancheria intima, stirata e inamidata.
Queste donne, tuttavia, mi guardano dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere "la brava bambina", "la donna per bene", la Gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato, dagli amici, dalla famiglia, dai figli
e da tutti gli esseri che popolano abbondantemente questo mondo.
In questa contraddizione inevitabile tra quel che doveva essere e quel che è,
ho combattuto numerose battaglie mortali,
battaglie inutili, loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa -
con la psiche dolorante, scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me
che, fin dall'infanzia, mi guardano torvo
perchè non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni,
perchè oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile
che si innamora come una triste puttana<>

precipitevolissimevolmente

Finalmente, se né andato, e posso far nulla per un po’.
La pioggia gli mette tristezza, e più gli vien tristezza, più non vuol star solo, e più sta qui.
Poveretto pure lui, ha 65 anni, e si sente solo…
Ieri sera volevo guardare un film, “Non ti muovere” , un film italiano, ma poi hanno fatto la pubblicità di Lost, e Vitto ha pensato che voleva vederlo.
Dico, ok, io vado in camera e mi guardo il mio film.
Vado, provo ad accendere la tv, cioccata…te pareva…!
Ok allora prendo un libro, torno in sala, e mi metto a leggere mentre con le orecchie ascoltavo anche un po’ Lost.
Alla prima pubblicità, Vitto cambia canale, e finisce sulle Iene, niente più Lost, io continuo a leggere, dopo circa 20 minuti….ZZZZZZZZZZZZZZZZZ…..ronfa.
Morale, niente film, niente Lost.
Il trucco sta nell’avere per primi il telecomando.
Meglio il libro.
Tra una riga e l’altra, di, “Oggi ho voglia di sognare”, dove un bambino, odia la scuola e tutto ciò che la circonda, e tutti vogliono inculcargli delle cose, ma lui, zero, rifletto un po’.
Ho 33 anni, e fin’ora che ho fatto?
Beh in fondo un sacco di cose, ma convenzionalmente un tubo.
L’iter della donna perfetta non si è sviluppato.
Si è inceppato come un vecchio vinile, graffiato.
Non ho una famiglia, non mi sono realizzata professionalmente…osteria, che paroloni!
Già, a quest’ora potrei avere già 3 figli, essere una donna in carriera, un mutuo avviato, e un maritino con la pancetta.
Ma niente di tutto ciò.
Manco sul lavoro ci sono, mi sono inceppata pure lì, perché a vent’anni, anziché proseguire con quel che mi piaceva, ho pensato fosse meglio guadagnar 2 soldini, e mi è pure riuscito, con poca fatica.
C’è chi dice che vuole realizzarsi professionalmente….boh, che vuol dire poi, a me non suona.
Vuol dire fare quel che ci piace, ed essere contenti di andare al lavoro tutte le mattine, o vuol dire fare una scalata verso la vetta???
Perché io opto x la prima, anche un lattaio può sentirsi realizzato professionalmente allora.
E io? Adesso che faccio?
No perché, pure questa è un po’ da ridere.
Son venuta qui, e ho detto, cambio vita, cambio lavoro.
E di nuovo, mi son ritrovata a fare all’incirca le stesse cose.
Ora, torno a Bologna, e…..mi ributto, nei mobili???
Che paaaallllaaaaa!!!
E’ che a me le stesse cose mi stufano dopo un po’, le prendo come prove, poi appurato che son capace, mi metterei a fare altro.
Per imparare qualcosa di nuovo.
Poi altro, e altro ancora.
Non ci si arricchirebbe maggiormente così?
Ieri, sono andata dal fabbro…che meraviglia…ho proprio pensato, sarebbe bello imparare, e quante cose si posso fare, inventare, con un po’ di fantasia.
Non è che vender mobili sia noioso, ma dopo un po’ è sempre quella minestra.
Invece per guadagnare un po’ di più, bisogna far sempre le stesse cose, all’incirca, ci vogliono, gli anni di esperienza, uuuhhh, E-S-P-E-R.-I-E-N-Z-A…..un altro parolone!!
Quindi??? Ah non lo so.
Comunque a proposito, del fatto, che nella mia vita in pratica non ho concluso granchè, e che invece se avessi seguito l’iter dell’Elisa ora sarei, una donnina perfetta…. Dicevo, non è che sia molto preoccupata, e me ne freghi granchè, meglio incasinatamene vera, che perfettamente finta.
Però ecco, l’unico neo, in tutto ciò, è che forse dovrei darmi degli obbiettivi, quello sì, invece di stare allo sbando….
Ora ci penso.
Per il resto, invece, riferendomi al fatto di come sto, ora, direi meglio.
Si è esaurito il tempo dei piagnistei, le scorte di liquidi si sono prosciugate, è quasi cessato il tempo della rabbia, ora sta subentrando il tempo del distacco.
Già, sto cominciando a vedere le cose, non più, in immersione totale, in apnea, ma seduta su di uno scoglio.
Così va meglio, molto.
E per cortesia, non mi chiedete più, che conclusioni ho tirato, cos’ho deciso, che illuminazione ho avuto….sto solo cercando di inscatolare le cose poco a poco.
Una per una , imballarle e metterle via.
Voglio partire, solo quando avrò finito questa cosa.
E’ giusto, metterle via, catalogarle, e ordinarle, non voglio ritrovarmi un giorno, in una soffitta con una montagna di cose accatastate.
Non voglio rimpianti, non voglio rimorsi.
Anche perché ho già un sacco di cose in soffitta, che mi son ritrovata, tra i piedi ora, mentre cercavo di sistemare queste.
Cose vecchie decrepite, che credevo di non avere più….e che invece haimè, sono ancora lì.
Quindi, starò sullo scoglio ancora un po’.
In santa pace.
E chi ha fretta, vada pure avanti.

17 marzo 2006

la cura


sel.

La Cura di Franco Battiato
da L'Imboscata - PolyGram 1996

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
TI salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te...
io sì, che avrò cura di te.

il fluido


sel  Posted by Picasa

Quando ero una cinna, 12-13 anni, credo, a volte se ero a casa da sola facevo un gioco.
Adesso forse dovrei chiamarlo meditazione, ma allora non lo sapevo.
Mi sdraiavo sul tavolo di casa, a pancia in su, le braccia lungo i fianchi, chiudevo gli occhi.
Poi piano piano, cercavo di concentrarmi sul mio respiro, piano piano cercavo di sentire solo quel rumore, ma non fuori, dentro di me.
Provavo a cancellare tutti i rumori esterni, a non sentirli più.
Poi, con calma cercavo di calare anche il respiro, il gioco stava anche in questo, nel cercare di accorciare il respiro, sempre di più, di prendere sempre meno aria.
Il gioco in realtà, stava nell’immaginare che il mio corpo fosse solo un’involucro, una scatola, che in realtà, io, fossi ciò che ci stava dentro,un fluido, che fluttuava su e giù, all’interno di questa scatola.
Quindi cercavo di respirare sempre più piano, per tenere tutto quel fluido all’interno, e prendere solo da fuori, il minimo indispensabile che servisse.
Immaginavo questo fluido che percorreva dentro di me, dai piedi alla testa, e volevo rannicchiarlo.
Cercavo di rannicchiare il mio io in questa scatola.
Quindi mi concentravo sui piedi, e immaginavo pian piano di salire su, per le gambe, fino ad arrivare alla pancia, poi dalle mani, su per le braccia, fino al petto, e per ultimo dalla testa scendevo, al petto.
Ecco in quel momento stavo lì, ferma, dentro di me, una sfera di fluido, rannicchiata su se stessa, all’altezza dell’imboccatura dello stomaco.
Lo facevo ogni tanto questo gioco, non era facile, e non sempre riusciva, perché le distrazioni erano molte.
Però mi piaceva, farmi piccola piccola, dentro di me e proteggermi da sola.
Poi poco a poco rifacevo tutto a rovescio, tornavo nella testa, nelle braccia, nelle gambe, muovevo le dita, e mi tiravo su.
Era una bellissima sensazione di leggerezza, e quiete.

16 marzo 2006


Posted by Picasa

Ecco è nei giorni come questo,
che penso davvero mi meriterei di essere lasciata sola, trattata male.
Mi meriterei una bella sberla.
Stamattina dormivo, ero girata verso il lato esterno del letto, mi sono svegliata sentendo che Vitto mi stava abbracciando da dietro, e mi accarezzava.
Sono rimasta lì senza far nulla.
Mi è venuto in mente il cartone animato di Minù, quello in cui lei, la simpatica signora aveva il cucchiaino al collo, e d’un tratto, diventava piccola piccola.
Ho pensato che sarebbe stato utile avere quel cucchino, diventare piccina, x darsela a gambe levate…
Ho tolto la sua mano dalla coscia, l’ho spostata, lui è stato zitto, pochi minuti e si è alzato.
Si è vestito,
ha preso le sue cose,
ha detto ciao ed è uscito.
Sono rimasta nel letto,
e ho sentito un senso di vuoto tremendo.
Ma che sto facendo?
Stavo lì, pensando a qualcun altro,
pensavo che avrei voluto essere con qualc’un altro,
da un’altra parte,
pensavo che non è giusto.
Per questo dico che non sono quel che sembro, voglio così il bene di chi mi sta vicino, che confondo le cose, e non mi accorgo di far del male.
Ho chiamato Vittorio, gli ho detto, “mi dispiace”, lui ha detto, “non c’è problema, me l’immaginavo, ti lascio stare”.
Poi ha aggiunto:
“Ricordati solo una cosa, mi hai chiesto tempo e te lo darò, ancora un po’, certo, ma sappi che nel frattempo le cose cambiano, che anch’io sto cambiando, e poi sarà troppo tardi. In qualche modo devo difendermi.”
Penso che non sono capace di affrontare le cose da persona matura, e cresciuta.
Penso che sia più comodo aspettare che siano gli altri a decidere x te.
Così avrò l’alibi, e sarò sempre innocente.
Penso che non sono capace di affrontare le cose.
Penso che non dovrei avere tutti questi continui dilemmi, a maggior ragione ora.
Penso che qualcuno una sera mi ha detto “Mi fido di te, sai..”, e da quella sera queste parole mi rimbombano nella testa.
Come si fa a fidarsi di me, che neppure io so cos’aspettarmi da me stessa.
Come si fa a fidarsi di me, che sono egoista e invidiosa.
Come si fa a fidarsi di me, che farei di tutto forse, x avere quel che mi va.
Che roba che sono!
Un macello fatto a persona.
Chissà, che quella notte, in quello schifo, Vitto cercasse proprio me, ero io, forse, ad essermi persa.

15 marzo 2006

15 marzo 2006

Ma perché sto ancora qua???
ohi boh, perché…
perché ho paura
perché sono arrabbiata
perché nn ho il coraggio
non so
non capisco se dentro di me penso di non aver fatto abbastanza
il tutto e per tutto
non so se penso che ognuno
abbia diritto ad una seconda possibilità
non capisco se sto qui
per non aver colpe
per non sentirmi in colpa
perché non sta bene
buttar via 5 anni così
perché non si fa…
non capisco che cosa vorrei sentirmi dire
non capisco se mi sono adagiata sugli allori
se in effetti
mi ruga dentro
davvero
aver fatto tutta sta fatica invano
se mi fa incazzare il fatto
di essermi scervellata a progettare una casa
che non resterà mia
neanche un po’.
Poi mi dico
…è solo una casa…

ma l’ho pensata, ragionata,
merda
merda
merda..
e penso a lui che ci rimarrà
e guarderà le cose
ogni giorno e si ricorderà tutte le volte che gli ho detto:
”ah, sai ho pensato ad una cosa!”
con l’entusiasmo di chi ha trovato un’idea geniale.
Vorrei portarmi via i colori che ci sono,
il color cacca della sala,
il rosso e il giallo del bagno,
il beige del pavimento,
le macchie della mucca del divano,
il verde, il rosso, il nero della tenda.
Vorrei portarmi via i colori,
e lasciare solo il bianco.
Non è giusto
I colori sono anche miei,
come faccio
a lasciarli lì,
a lasciarglieli.
Non è giusto.

L'incubo (1871)  Posted by Picasa

che fatica

Non ho dato un calcio proprio a nessuno.
Sono arrivata a casa, e le balle continuavano a girare, sono andata in bagno e mi sono accorta che era spuntato l’erpes pure sul labbro di sotto, non ciò più visto,
ho dato un calcio al tavolo, 2 o tre al frigo,
il povero calzino, mio malgrado ci si è trovato in mezzo, e se l’è data a gambe levate.
Mi è venuto da piangere…maledizione…
Poi passa, ho preparato la cena, e tutto è filato…
Io ho sempre bisogno del la per partire, avrei voluto che aprendo la porta, mi avesse guardato e mi avesse chiesto cos’era quella faccia, così gliene avrei cantate 4…
Invece non ha detto niente, si è messo a guardar fatture..
Va beh.
Stanotte è stata una notte terribile, sono a pezzi stamattina.
Ho fatto un’incubo tremendo, cioè in sé niente di tragico ma angoscioso da morire.
Stavo in questa casa, tipo Profondo Rosso, e sapevo che l’anima di una donna stava vagando,
sapevo che sarebbe apparsa proprio a me, continuavo a vagare con questo terrore, finchè mi sono trovata davanti ad uno specchio, e nell’immagine riflessa, piano piano, ha cominciato a comparire questo volto di donna, ho cominciato ad urlare come una pazza, mmmaaaammmmaaaa aaaiiiuuuuttooo, a squarciagola…Vittorio mi ha svegliato, stavo urlando davvero.
Poi ho sognato una strana cosa, una pista da sci, che passava di fianco ad un precipizio, cioè, era piuttosto una scogliera, 2-300 mt che dava a picco sul mare.
C’era della gente che si lanciava, io sono arrivata, fin lì vicino e sono scivolata, mi sono aggrappata al bordo, e stavo a penzoloni, ho chiesto aiuto, avevo il terrore di cadere.
Una tipa mi ha dato una mano e sono salita.
Poi mi ha dato della cogliona, perché non mi ero buttata.
Ho puro sognato che avevo la macchina parcheggiata in salita, all’indietro, in una strada ripidissima di montagna, e quando sono andata x salire, stavo ancora con una gamba dentro e una fuori, e la macchina ha cominciato a slittare all’indietro, e non riuscivo a fermarla..
Ossignur, ma che fatica.
Mi son svegliata a pezzi, mi sembrava di non aver neppure dormito.
Si potrà stare in pace almeno la notte!

14 marzo 2006

eppure oggi c'era il sole...

Avevo scritto ½ pagina, causa errore se né andata,
oggi non và…
Sintetizzo,
tel mia mamma
voglia di parlarle = zero
poi d’un tratto mi sono accorta di una cosa:
sono arrabbiata, arrabbiata nera, forse è per quello che sono ancora qui,
sono arrabbiata con me,
ma soprattutto con lui.
Non lo voglio colpevolizzare,
ma in realtà ho le balle che girano a mille.
Sì, come ha potuto,
non ascoltarmi,
trattarmi così,
dirmi tutte quelle cose,
che sono state come chiodi arrugginiti,
come ha potuto lasciarmi sola tutto quel tempo.
A me , che ho varcato il mare x venire qui,
che l’ho ascoltato mille volte,
che ho chinato la testa.
Che adesso devo trovare questa cavolo di forza,
e ricominciare da capo.
Cavoli,
mica le cose mi passano sopra a me,
mi attraversano,
e hanno lasciato segni,
e detriti…
Non dico lo odio, nn si dice,
ma sono proprio nera.
Avevo così bisogno,
di lui.
Stronzo.
Vado a casa,
stasera,
e gli tiro un calcio nelle balle…
Se servisse, lo farei.
La verità,
è che vorrei solo chiedergli,
come hai potuto…
farmi così male…

June Posted by Picasa

sogno o son desta

Si parla del diavolo, spuntan le corna, si dice così.
Stamattina dormivo.
Ultimamente mi sveglio presto, ma rimango ferma ad occhi chiusi, e aspetto, faccio finta di dormire, finchè non sento Vitto uscire dalla porta, poi mi alzo.
Stamattina, però, dormivo, e ho cominciato a sentire in là lontano, respirare, come quando suona la sveglia, e la senti, lontana lontana, e non capisci cos’è.
Sentivo, sto respiro, un po’ pesante, e non capivo, poi ho realizzato che era Vitto, ho pensato, “avrà il raffreddore, piange, ha male alle ginocchia”, dalla direzione del rumore, ho capito che era girato verso di me.
Sono stata lì ferma ancora un po’, e intanto mi sono tornati in mente i sogni di stanotte.
A volte sogno così tanto e così intensamente, che al mattino, mi sento affaticata.
Sentivo il suo respiro, e ho ricordato questo sogno strano, surreale, alla Quentin Tarantino, io vedevo le cose come immagini di un film.
C’era Vittorio, in mezzo alla sporcizia, scorci di strade, grigie, e palazzi, sembrava Londra, c’era immondizia ovunque, mescolata ad acqua, pipì, e lui stava lì, cercando qualcosa.
Poi la scena cambiava, altra strada, altra inquadratura, lo schifo, c’era anche del vomito lungo i muri, e lui era sempre lì che cercava, e io guardavo le scene, da estranea.
E pensavo, a dove fosse finito, e cosa stesse cercando.
Chissà cosa cercava.
Allora ho aperto gli occhi, e lui mi stava guardando.
Ha detto, “sono morti tutti?”….”chi?”….”ah, non lo so, è un’ora che li uccidi”, mi sono venuti in mente i tedeschi!, ho detto “non lo so”, ho avuto paura per un’attimo di aver detto qualcosa nel sonno.
Ho pensato, ma no, non mi ricordo nulla, chissà chi ho ucciso.
Ma mi è venuto in mente, un altro sogno che avevo fatto, ho sognato anche Francesco, è un po’ che non lo facevo.
Eravamo in un pullman, ad un certo punto, ho detto basta, tra me e me, mi sono alzata, sono andata da lui, e gli ho detto, “senti, è inutile, che faccio finta, non ti amo più, quindi basta, facciamola finita qui”.
Non ho detto niente a Vitto, ne dello schifo, nel quale era finito, né di Francesco, ne di altro.
Ma lui continuava a guardarmi, mi ha chiesto pure se mi ero fatta i baffi e le sopraciglia.
Intanto mi sono accorta che mi era spuntato un’erpes sul labbro, “che palle”, ha detto che se n’era accorto…
Mi ha detto anche, “che strano vederti con le ciglia”, è vero, mi sono cresciute le ciglia.
Ho sempre amato le ciglia lunghe, e folte, lui le ha, e gli ho sempre chiesto di regalarmele.
Io, invece ne ho avute sempre poche, finchè un giorno parlando con un’amica, profumaia, mi ha detto che le ciglia che si strappano non ricrescono più….cooossaaaa????
Cavoli, io avevo un viziaccio, mi toccavo sempre le ciglia, le prendevo tra le dita, per sentire lo spessore duro del mascara, così x il gusto di farlo. Poi tiravo un po’, e inevitabilmente qualcuna rimaneva in mano.
Da quel giorno non l’ho fatto più! Oh, era vero, piano piano le ciglia son cresciute, poverette, avevano ragione pure loro!
Cmq, ho sorriso, e ho messo la testa sotto al lenzuolo, c’era troppa luce, e io mi sentivo a disagio, quello sguardo su di me, mi infastidiva.
Allora lui ha detto, ok, mi alzo.
Sono rimasta lì, zitta, zitta, a guardare il soffitto, a pensare, immaginare, ricordare, e sospirare un po’.
Ha detto ciao ed è uscito.
Non mi sono alzata subito, sono rimasta ancora lì, a guardarmi attorno, a guardare le cose, ad aspettare.
Quando arriverà questo coraggio??
Io l’aspetto, e un po’ lo cerco.

13 marzo 2006

ritorno

Sono arrivata, ieri, all’aeroporto,
erano le 19.38, Vitto doveva arrivare alle 20.
Beh, dico vado in libreria, a vedere se è uscito qualcosa sulla Pucca,
sì, il portafoglio, rosso, era ora, in tinta con la borsa.
Lo compro, anche una penna, e via.
Nel frattempo chiama Vitto, è arrivato…ok…sospiro, piglio la mia borsina e vado.
Cammino, lungo il marciapiede, mi viene incontro da lontano, penso, ok ce la faccio…ciao…
Dice, ben tornata.
Mi abbraccia.
Occhi bassi: grazie.
Andiamo in macchina.
C’era un vento pazzesco, proprio come quello del sabato a Roma…
Dice, sei arrivata giusto in tempo, è appena finito di piovere.
Che culo, eh, non pensavo ad altro…
Dice, com’è andata?
Ah, dico, bene, ci siamo divertite, molto…siamo state proprio bene…
Poi mi racconta, cos’ha fatto sabato, dov’è stato, a mangiare, con chi, dove, la partita, domenica, chi è venuto a casa, cos’hanno mangiato, hanno arrestato 2, a Fonni è nevicato, è sempre piovuto, bla bla bla…..
Parlava parlava…..io guardavo dritta….stavo lì, ma mica c’ero, giusto quel tanto che bastasse, per dire, sì, no, ah, e annuire con la testa…
Pensavo a un treno, una stazione, il vento, il giapponese, pensavo al formicolio delle mani, che non c’era più, a quella strana sensazione nelle dita…pensavo…un sacco di cose, e anche alla strada, che c’era davanti, alla sensazione come l’altra volta, di essere stata via un secolo, un’eternità…
Arriviamo a casa, sarebbe venuto anche Giandomenico, a guardare la partita, e mangiare una pizza, penso, bene, meglio così.
Non avevo fame per niente, mi ero mangiata all’aeroporto una tavoletta intera di cioccolato e nocciole, una goduria, ma cmq, mi mangio la pizza, la divoro….Giandomenico dice, Simona sei stanca?….eh sì… dice che si vede….eh immagino…
Poi mi metto sul letto, leggo e finisco un libro, divoro pure quello.
La partita finisce, Giando se ne va, e temo domande, di qualsiasi natura, temo un’avvicinamento, e un ritrarmi…vado in bagno, ci rivado, vado a bere, sistemo, pulisco, tutto pur di tenere i minuti impegnati…..Vitto dice, beh sono stanco, scusa, dormo….pppppfffffiiiuuuuu, che culo, ha sonno, tiro un sospirone, mi rilasso, mi metto il pigiama, mi infilo nel letto, tutta da una parte, quasi sul bordo, mando un messaggino, nanna. Speriamo di fare bei sogni.

13.03.06

Ero davanti allo specchio stamattina,
mi davo il rossetto,
e mi è tornato alla mente, quando, una volta,
tanto tempo fa, Vitto mi guardava, mentre lo facevo.
Magari si doveva uscire, ci si faceva la doccia, ci si vestiva,
e regolarmente, lui era pronto,
mentre io avevo ancora bisogno dei 10 minuti x il trucco.
E lui, si metteva lì, a volte sulla porta del bagno, a volte seduto sul wc,
e mi guardava, quasi interessato,
un po’ incantato.
Io dicevo, “cosa guardi!”, e lui, “ti guardo”,
e finiva che mi facevo le righe storte sugli occhi, perché ero un po’ imbarazzata.
A volte lo spedivo fuori dal bagno, e poi, lo beccavo, che mi guardava di nascosto,
dalla fessura della porta, quella tra lo stipite e il lato in cui è incernierata,
…”vai via!!”, gli dicevo!
Ma giocavo, perché era bello, avere qualcuno, che osservava i tuoi gesti.
In fondo lo facevo sperando di ribeccarlo di nuovo.
A volte mi guardava la notte, o il mattino, la domenica mi svegliavo, e lui era lì,
che mi guardava, “che c’è?”, gli chiedevo “niente…non ti volevo svegliare…”,
ma mi guardava.
Poi piano piano, non mi ha guardata più, non così, non con quegli occhi,
interrogativi e stupiti allo stesso tempo, non con quegli occhi che cercano qualcosa,
non so quando è accaduto, non me ne sono accorta, però è accaduto.
Non mi ha guardata più.
Chissà cosa accade, chissà, accade, forse, che la minestra è sempre uguale,
che gli esseri umani, sono curiosi, sono cercatori d’oro, un po’ avventurieri,
accade che, anche se adori la zuppa di legumi, dopo una settimana che la mangi,
ti esce dagli occhi, anche il fisico la rifiuta, per questo si diventa intolleranti.
Perché sei saturo di una sostanza, e il tuo corpo ha bisogno di essere purificato, privato di quella cosa, per poi riprenderla poco a poco, perché si possa riabituare.
Forse è così anche per le persone.
Si diventa saturi, prima indifferenti, e poi saturi.
Ma allora come si fa?
Perché il piacere di vivere rimanga, vivo, abbiamo bisogno di stimoli, di un po’ di sale,
che renda il tutto continuamente, corposo.
Ma come possiamo fare a mantenere nel tempo, questa cosa??
Forse il segreto sta nell’essere stimolati, ma allo stesso tempo fonte di stimoli.
Perché ad un certo punto si tende ad isolarsi, l’insoddisfazione, la noia, portano a chiudersi.
Invece dovremmo guardare chi ci sta accanto, e vedere che, forse, pure lui è annoiato, forse più di noi.
Abbiamo la presunzione, dell’esclusività dei sentimenti, siamo portati a pensare, che, solo noi, possiamo sentire certe cose.
Invece forse, dovremmo, essere fonte di stimoli per primi, magari un giorno, farci trovare nel bagno, a truccarci a testa in giù, e si finirebbe a ridere.
Non è facile però, ma il trucco, vero, forse sta lì, in quella benedetta bilancia, che deve stare in equilibrio.
In fondo ogni cosa ha un suo equilibrio, anche noi, i difetti sono bilanciati dai pregi, un’arrabbiatura è bilanciata da una riappacificazione, una settimana di pioggia si dimentica con un giorno di sole.
I piatti oscillano, un po’ di qua un po’ di là, ma poi devono tornare allo stesso livello.
Quando invece la distanza che li divide, aumenta, sempre di più, diventa faticoso, e quasi impossibile, compensare l’altro.
Eh, già, è dura.
La verità, è, che non bisogna mai abbassare la guardia, perché, l’attimo della saturazione, è impercettibile, e così infinitamente piccolo.
E poi, d’un tratto, senti il botto del piatto, di quella bilancia, che cade.
E non c’è più tempo per raccogliere i cocci.
Bisogna stare attenti, sempre.
Bisogna esserlo in due.
Si dice che 2 occhi siano meglio di 1, per questo.
Così, quando uno, avrà bisogno, di riposare, l’altro, avrà la forza dell’attenzione.
Un po’ come fare un lungo viaggio, in auto, in 2, a turno si può guidare, a turno, si può guardare dal finestrino, a turno ci si può pure rilassare e dormire, perché si ha fiducia nell’altro che guida.
Non credo siamo fatti per stare soli.
Possiamo pure affrontare un viaggio di migliaia di km soli, ma non sarà mai la stessa cosa.
Anche se alla fine, la destinazione, sarà la stessa.
Il sapore delle cose, in 2 è diverso.
Perché io ti farò osservare cose che ti sono sfuggite, e tu farai lo stesso con me.
E alla meta, il tutto, avrà un gusto diverso, e la fatica, forse, non l’avremo quasi sentita.

10 marzo 2006

"Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre ad una persona cara. Forse proprio perchè la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l'invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici."

Estratto da "Come un romanzo" di D. Pennac

09 marzo 2006


09.03.06 Posted by Picasa
Pelle viva
stomaco teso

Tirato

Un buco
un buco nell’addome

Confusione

Paura

Di cosa?

Di tutto
di quel tutto che non conosci
che non conosci quando non sai

Non sai chi hai di fronte

Sai delle tue emozioni
del tuo sentire

Del tuo sentire
che oscilla

Oscilla tra desiderio
e chiusura

Tra voglia di darsi
e di chiudersi

Il tuo sentire

Che ti rende
viva
pulsante

Il tuo sentire che ti fa mancare l’aria
correre il fiato
esplodere il battito

Il tuo sentire che ti fa brillare gli occhi
luccicare la tua voglia
il tuo te stessa

Vorresti prendere
correre
ridere
vivere

Bagnata di vita

Il tuo sentire
che si vuole dare
cedere
annullare
lasciarsi preda altrui

Dell’altrui voglia

Frenesia
passione
desiderio

Dell’altrui toccarti

Sfiorarti
leccarti
baciarti
stringerti

Vorresti l’altrui tocco su di te

Lieve
Leggero
Sinuoso
E silente
Lo vorresti sentire percorrerti
Passare piano su di te
Sfiorarti le gambe
Per scendere giù
Alle caviglie
E lento
Risalire
Imprevisto
Sinuoso e lento
Lento
allo sfinimento

Sfinimento del desiderio

Desiderio di lui
Del suo desiderio
Del suo desiderarti

Fame di emozioni
di desiderio
altrui

Il suo

Ora

Il suo

Sentire che

Che ti chiudi
Che incroci le gambe
Ti chiudi a te stessa
In attesa
Di ciò che non comprendi

Aspettando di comprendere
Di capire
Con voglia di toccare
Stringere
Sentire

Voglio il cuore

Il suo

Sopra il mio
che batte

Sentire
quel battito

Forte

Risuonare in me
come la paura
ed il desiderio
batte in me

Mi chiudo
ma…

Ma sdraiata di spalle
Aspetto te

Il tuo sfiorarmi
Lento delicato

Sorridimi
Guardami negli occhi

E sorridimi
Sfiorami la schiena
L’incavo
Soffiami sul collo

Baciami la schiena
Passa la tua lingua
Su di me

Leggero prima sfiorami

E sorridimi
Baciandomi

Sorridimi

Con la bocca
con gli occhi

Sorridimi

(di Zoe)

08 marzo 2006

basta rosa!

ecco,
basta rosa
che è un colore che non mi si addice per niente.
Per ora neutro,
poi vediamo.
Mi sono sempre chiesta quante donne abitino in me.. mi sono sempre trovata a disagio davanti alle mie mille sfaccettature e contraddizioni… sono cresciuta cercando di incasellarmi, di immergermi in uno stereotipo.. forse un semplice bisogno di definirmi di rendere più semplice la convivenza con me stessa… cercandomi in certi abiti…. In certi colori… in certe scarpe… scarpe piatte .. scarpe alte.. gonne corte… abiti lunghi… scarpe a tennis.. jeans… scarpe severe.. pantaloni neri… maglioni neri…maglie rosse… magliette rosa.. bianche… ho cercato di specchiarmi negli specchi, nelle vetrine… negli occhi di chi mi amava .. di chi mi odiava.. mi sono cercata nel mio peso.. nel mio rapporto con il cibo… nel mio esser quello che sembro.. nel mio esser quello che sono… ho cercato di comprendere i miei pianeti astrali.. la mia famiglia .. mi sono cercata ovunque perché troppo lontana da me… Lontana da me .. da sempre.. dalla prima volta che mi resi conto dei miei colori… una corpo un involucro .. un manifestarmi … un cercare consensi .. Mi sono cercata senza mai trovarmi.. senza mai riuscire a fuggire da me… mi cercavo negli altri nella speranza di fuggire dalle donne che abitano in me. Donne diverse… donne, tante.. troppe … in un solo corpo troppi spiriti … un alternarsi continuo di contraddizioni.. di piccolezze.. di umori.. di atteggiamenti.. di barriere e corazze… per fuggire .. per fuggire lontana dall'altra me che ha solo un bisogno indicibile di amore…

(di Zoe)

8 marzo

buona festa
ridiamoci sù!
non ho l'audio in sto piccì,
ditemi se dicono qualcosa please!!!

http://buongiorno.hostingstreaming.it/PDplayer_Buongiorno_2.swf?filmato=http://buongiorno.hostingstreaming.it/coloreria.flv&lunghezza=41

06 marzo 2006

un blog

non posso non segnalarvi questo blog
http://emozionandosi.blogspot.com/2003_08_01_emozionandosi_archive.html
cercavo la riflessione sull'amore, che avevo sentito, ed è apparso questo
una storia come tante
una donna come tante
l'ho letto a ritroso, dal 2006 al 2003, come un libro dalla fine all'inizio.
Inutile dire che mi ci son ritrovata, in molte parole, in molti pensieri.
Spero che tutto si aggiusti, anche a lei che non so chi è.
Bacio

Riflessione

tratta dal film "Il mandolino del Capitano Corelli".

"Quando si accende, l'amore è una pazzia temporanea.
L'amore scoppia come un terremoto ed in seguito si placa e quando si è placato bisogna prendere una decisione.
Bisogna riuscire a capire se le nostre radici sono così inestricabilmente intrecciate che è inconcepibile il solo pensiero di separarle.Perché questo è, l'amore è questo.
L'amore non è turbamento, non è eccitazione, non è il desiderio di accoppiarsi ogni istante della giornata, non è restare sveglia la notte immaginando che lui sia lì, a baciare ogni parte del tuo corpo. Questo è semplicemente essere innamorati e chiunque può facilmente convincersi di esserlo.
L'amore, invece, è quello che resta del fuoco quando l'innamoramento si è consumato.
Non sembra una cosa molto eccitante ma ... lo è."

04 marzo 2006

chi cerca....suda

Allora , vediamo
Di cosa ho bisogno…
Cosa cerco…
Provo a mettere delle cose in fila, vediamo se funziona…
Esattamente non so, ma ci provo…
Come ho già detto, sì, avrei bisogno di dolcezza
Di essere coccolata
Di essere capita, da uno sguardo senza tante parole
Vorrei sentire che conto x qualcuno
Veramente
Vorrei sentire, che qualcuno, ha voglia di sapere,
ha la curiosità di sapere,
ha il desiderio di sapere, di guardare oltre,
di guardarmi dentro
Non solo di vedere, ma di guardare davvero,
E questo è ciò che vorrei fare, io, a mia volta
Scoprire ed essere scoperta
Mi sembra sempre, che tutto rimanga invece
Così superficiale, si fermi lì a mezz’aria
Senza davvero andare a fondo.
Forse anch’io non l’ho mai permesso
Forse mi sono sempre limitata a dare ciò che si voleva
Senza aprire la porta..
Ma in fondo il discorso, deve essere biunivoco
Deve andare di pari passo
Altrimenti non funziona.
Forse nessuno ci ha mai provato…
Che altro vorrei?
Tirare un sospiro di sollievo, buttare fuori l’aria, sentirmi leggera
Prendere la vita con un sorriso
Vedere i colori, e le sfumature
Non credo di chiedere troppo
Di cercare chissà cosa
Forse ho solo sbagliato direzione, forse ho preso solo degli abbagli
Perché in fondo è vero, tendo a vedere il bello nelle cose
E così anche nelle persone
Forse penso che sia così naturale quel che cerco
Che poi mi stupisco di come gli altri non cerchino le mie stesse cose
Forse che sono un po’ cecata

E devo solo imparare a guardare.

PAURA D'ESSER FELICE -pirandello-

...penso che io voglio essere troppo felice, forse, ma lui (vitto) ha paura d'esserlo, anche solo un pò...
mi piace Pirandello
cià

PAURA D'ESSER FELICE

Prima che Fabio Feroni, non più assistito dal senno antico, si fosse indotto a prender moglie, per lunghi anni, mentre gli altri cercavano un po' di svago dalle consuete fatiche o in qualche passeggiata o nei caffè, da uomo solitario com'era allora, aveva trovato il suo spasso nel terrazzino della vecchia casa di scapolo, ove, tra tanti vasi di fiori, eran pur mosche assai e ragni e formiche e altri insetti, della cui vita s'interessava con amore e curiosità.

Soprattutto si spassava assistendo agli sforzi sconnessi d'una vecchia tartaruga, la quale da parecchi anni s'ostinava, testarda e dura, a salire il primo dei tre gradini per cui da quel terrazzo si andava alla saletta da pranzo.

«Chi sa», aveva pensato più volte il Feroni, «chi sa quali delizie s'immagina di trovare in quella saletta, se da tant'anni dura questa sua ostinazione.»
Riuscita con sommo stento a superare l'alzata dello scalino, quando già poneva su l'orlo della pedata le zampette sbieche e raspava disperatamente per tirarsi su, tutt'a un tratto perdeva l'equilibrio, ricadeva giù riversa su la scaglia rocciosa

Più d'una volta il Feroni, pur sicuro che essa, se alla fine avesse superato il primo, poi il secondo, poi il terzo scalino, fatto un giro nella saletta da pranzo, avrebbe voluto ritornare giù al battuto del terrazzo, l'aveva presa e delicatamente posata sul primo scalino, premiando così la vana ostinazione di tanti anni.
Ma aveva con maraviglia sperimentato che la tartaruga, o per paura o per diffidenza, non aveva voluto mai profittare di quell'ajuto inatteso e, ritratte la testa e le zampe dentro la scaglia, se n'era per un gran pezzo rimasta lì come pietra, e poi, pian piano voltandosi, s'era rifatta all'orlo dello scalino, dando segni non dubbii di volerne discendere.

E allora egli l'aveva rimessa giù; ed ecco poco dopo la tartaruga riprender l'eterna fatica di salir da sé quel primo scalino.

- Che bestia! - aveva esclamato il Feroni, la prima volta.

Ma poi, riflettendoci meglio, s'era accorto d'aver detto bestia a una bestia, come si dice bestia a un uomo.
Infatti, le aveva detto bestia, non già perché in tanti e tanti anni di prova essa ancora non aveva saputo farsi capace che, essendo troppo alta l'alzata di quello scalino, per forza, nell'aderirvi tutta verticalmente, avrebbe dovuto a un punto perder l'equilibrio e cader riversa; ma perché, ajutata da lui, aveva rifiutato l'ajuto

Che seguiva però da questa riflessione? Che, dicendo in questo senso bestia a un uomo, si viene a fare alle bestie una gravissima ingiuria, perché si viene a scambiare per stupidità quella che invece è probità in loro o prudenza istintiva. Bestia, si dice a un uomo che non accetta l'ajuto, perché non par lecito pregiare in un uomo quella che nelle bestie è probità.

Tutto questo in generale.

Il Feroni poi aveva ragioni sue particolari di recarsi a dispetto quella probità, o prudenza che fosse, della vecchia tartaruga, e per un po' si compiaceva delle ridicole e disperate spinte ch'essa tirava nel vuoto così riversa, e alla fine, stanco di vederla soffrire, le soleva allungare un solennissimo calcio.
Mai, mai nessuno che avesse voluto dare a lui una mano in tutti i suoi sforzi per salire.

E tuttavia, neppure di questo si sarebbe in fondo doluto molto Fabio Feroni, conoscendo le aspre difficoltà dell'esistenza e l'egoismo che ne deriva agli uomini, se nella vita non gli fosse toccato di fare un'altra ben più triste esperienza, per la quale gli pareva d'aver quasi acquistato un diritto, se non proprio all'aiuto, almeno alla commiserazione altrui.
E l'esperienza era questa: che, ad onta di tutte le sue diligenze, sempre, com'egli era proprio lì lì per raggiunger lo scopo a cui per tanto tempo aveva teso con tutte le forze dell'anima, accorto, paziente e tenace, sempre il caso con lo scatto improvviso d'un saltamartino, s'era divertito a buttarlo riverso a pancia all'aria - proprio come quella tartaruga lì.
Giuoco feroce. Una ventata, un buffetto, una scrollatina, sul più bello, e giù tutto.

Né era da dire che le sue cadute improvvise meritassero scarsa commiserazione per la modestia delle sue aspirazioni. Prima di tutto, non sempre, come in questi ultimi tempi, erano state modeste le sue aspirazioni. Ma poi... - sì, certo, quanto più dall'alto, tanto più dolorose, le cadute - ma quella d'una formica da uno sterpo alto due palmi non vale agli effetti quella d'un uomo da un campanile? Oltre che la modestia delle aspirazioni, se mai, avrebbe dovuto far giudicare più crudele quel giochetto della sorte. Bel gusto, difatti, prendersela con una formica, cioè con un poveretto che da anni e anni stenta e s'industria in tutti i modi a tirar su e ad avviare tra ripieghi e ripari un piccolo espediente per migliorare d'un poco la propria condizione; sorprenderlo a un tratto e frustrare in un attimo tutti i sottili accorgimenti, la lunga pena d'una speranza pian pianino condotta quasi per un filo sempre più tenue a ridursi a effetto!
Non sperare più, non più illudersi, non desiderare più nulla; andare innanzi così, in una totale remissione, abbandonato alla discrezione della sorte - l'unica sarebbe stata questa: lo capiva bene Fabio Feroni. Ma, ahimè, speranze e desiderii e illusioni gli rinascevano, quasi a dispetto, irresistibilmente: erano i germi che la vita stessa gettava e che cadevano anche nel suo terreno, il quale, per quanto indurito dal gelo dell'esperienza, non poteva non accoglierli, impedire che mettessero una pur debole radice e sorgessero pallidi, con timidità sconsolata nell'aria cupa e diaccia della sua sconfidenza.

Tutt'al più, poteva fingere di non accorgersene; o anche dire a se stesso che non era mica vero ch'egli sperava questo, desiderava quest'altro; o che si faceva la più piccola illusione che quella speranza o quel desiderio potessero mai ridursi a effetto. Tirava via, proprio come se non sperasse né desiderasse più nulla, proprio come se non s'illudesse più per niente; ma pur guardando, quasi con la coda dell'occhio, la speranza, il desiderio, l'illusione soppiatta, e seguendoli serio serio, quasi di nascosto da se stesso.
Quando poi il caso, all'improvviso, immancabilmente, dava a essi il solito sgambetto, egli n'aveva sì un soprassalto, ma fingeva che fosse una scrollatina di spalle e rideva agro e annegava il dolore nella soddisfazione sapor d'acqua di mare di non aver punto sperato, punto desiderato, di non essersi illuso per nientissimo affatto; e che perciò quel demoniaccio del caso questa volta, eh no, questa volta non gliel'aveva fatta davvero!

- Ma si capisce! Ma si capisce! - diceva in questi momenti agli amici, ai conoscenti, suoi compagni d'ufficio, là nella biblioteca ov'era impiegato.

Gli amici lo guardavano senza comprender bene che cosa si dovesse capire.

- Ma non vedete? è caduto il Ministero! - soggiungeva il Feroni. - E si capisce!

Pareva che lui solo capisse le cose più assurde e inverosimili, da che non sperando più, per così dire, direttamente, ma coltivando per passatempo speranze immaginarie, speranze che avrebbe potuto avere e non aveva, illusioni che avrebbe potuto farsi e non si faceva, s'era messo a scoprire le più strambe relazioni di cause e d'effetti per ogni minimo che; e oggi era la caduta del Ministero, e domani la venuta dello Scià di Persia a Roma, e doman l'altro l'interruzione della corrente elettrica che aveva lasciato al bujo per mezz'ora la città.

Insomma, Fabio Feroni s'era ormai fissato in ciò che egli chiamava lo scatto del saltamartino; e, così fissato, era caduto in preda naturalmente alle più stravaganti superstizioni, che, distornandolo sempre più dalle sue antiche, riposate meditazioni filosofiche, gli avevan fatto commettere più d'una vera e propria stranezza e leggerezze senza fine.

Prese moglie, un bel giorno, lì per lì, come si beve un uovo, per non dar tempo al caso di mandargli tutto a gambe all'aria.

Veramente, egli guardava da un pezzo (al solito, con la coda dell'occhio) quella signorina Molesi, che stava presso la biblioteca: Dreetta Molesi, che più gli pareva bella e piena di grazia e più diceva a tutti ch'era brutta e smorfiosa.
Alla sposina che, avendo una gran fretta anche lei, si lamentava della troppa fretta di lui, disse che aveva già tutto pronto da tempo: la casa, così e così, che ella però non doveva chiedere di visitare avanti, perché gliela riserbava come una bella sorpresa per il giorno delle nozze; e non volle dire neppure in che via fosse, temendo che di nascosto o con la madre o col fratello andasse a visitarla, tentata dalle minuziose descrizioni ch'egli le aveva fatto di tutti i comodi ch'essa offriva e della vista che si godeva dalle finestre, e dei mobili che aveva acquistati e disposti amorosamente nelle varie camerette.
Discusse a lungo con lei sul viaggio di nozze: a Firenze? a Venezia? Ma quando fu sul punto, partì per Napoli, certo d'aver così gabbato il caso: d'averlo cioè spedito a Firenze e a Venezia da un albergo all'altro per guastargli le gioje della luna di miele, mentr'egli se le sarebbe godute, quieto e riparato, a Napoli.
Tanto Dreetta quanto i parenti rimasero storditi di questa improvvisa risoluzione di partire per Napoli, quantunque già un poco avvezzi a simili repentini cambiamenti in lui sia d'umore sia di propositi. Non s'immaginavano che una ben più grande sorpresa li aspettava al ritorno dal viaggio di nozze.
Dov'era la casetta, il nido già apparecchiato da tempo e descritto con tanta minuzia? Dov'era? Nel sogno che Fabio Feroni destinava, come tutti gli altri, al caso perché si spassasse a distruggerglielo a sua posta con qualcuna delle sue improvvise prodezze. Là, in due camerette ammobigliate, scelte lì per lì in treno, ritornando da Napoli, tra le tante disponibili negli annunzi d'affitti di un giornale, si vide condotta Dreetta appena giunta a Roma.

L'ira, l'indignazione questa volta ruppero tutti i freni finora imposti dalla buona creanza e dalla poca confidenza. Dreetta e i parenti gridarono all'inganno, anzi peggio, all'impostura. Perché mentire così? far vedere una casa apparecchiata di tutto punto, piena di tutti i comodi, perché?
Fabio Feroni, che s'aspettava quello scoppio, attese paziente che le prime furie svaporassero, sorridendo contento di quel suo martirio, e cercandosi con le dita nelle narici qualche peluzzo da tirare.
Dreetta piangeva? i parenti lo ingiuriavano? Era bene, era bene che fosse così, per tutta la gioja ch'egli aveva or ora goduta a Napoli, per tutto l'amore che gli riempiva l'anima. Era bene che fosse così.
Perché piangeva Dreetta? Per una casa che non c'era? Eh via, poco male! ci sarebbe stata!

E spiegò ai parenti perché non avesse apparecchiato avanti la casetta e perché avesse mentito; spiegò che la sua menzogna, del resto, appariva tale un po' anche per colpa loro, cioè delle troppe domande che gli avevano rivolte quand'egli sul principio aveva dichiarato d'aver tutto pronto da tempo e di voler fare alla sposina una bella sorpresa. Aveva pronto il denaro, ed eccolo lì; venti mila lire, risparmiate e raccolte in tanti anni e con tanti stenti; e la sorpresa che preparava a Dreetta era questa: di darle in mano quel denaro, perché pensasse lei, lei soltanto, a metter su il nido di suo gusto, come una necessità e non come un sogno. Ma, per carità! non seguisse ella in nulla e per nulla la descrizione immaginaria che lui gliene aveva fatta un tempo; tutto diverso doveva essere; scegliesse lei con l'ajuto della mamma e del fratello; egli non voleva saperne nulla; perché, se minimamente avesse approvato questa o quella scelta e se ne fosse compiaciuto, addio ogni cosa! E volle infine prevenirli che se speravano ch'egli delle loro compere e dell'assetto della casa e di tutto quanto si dichiarasse contento, se lo levassero pure dal capo, perché fin d'ora, a ogni modo, se ne dichiarava scontento, scontentissimo.
Fosse per questo, fosse per la cordialità dei padroni di casa, buoni vecchi all'antica, marito e moglie con una figliuola nubile, Dreetta non s'affrettò più di comporsi il nido. Rimasero d'accordo coi padroni di casa, che avrebbero sloggiato alla nascita del primo figliuolo.
Intanto i primi mesi di matrimonio furono un fiume di pianto nascosto per Dreetta, la quale, volendo vivere a modo del marito, ancora non s'era accorta ch'egli diceva tutto il contrario di quello che desiderava.

Fabio Feroni in fondo desiderava tutto ciò che avrebbe potuto far contenta la sposina; ma sapendo che, se avesse manifestato e seguito quei desiderii, il caso li avrebbe subito rovesciati, per prevenirlo, manifestava e seguiva i desiderii contrarii: e la sposina viveva infelice. Quand'ella infine se n'accorse e cominciò a fare a suo modo, cioè tutt'al contrario di quel che diceva lui, la gratitudine, l'affetto, l'ammirazione di Fabio Feroni per lei raggiunsero il colmo. Ma il pover'uomo si guardò bene dall'esprimerli; si sentì felice anche lui, e cominciò a tremarne.
Così pieno di gioja, come fare a nasconderla? a dichiararsi scontento?
E guardando la sua piccola Dreetta già incinta, gli occhi gli s'invetravano di lagrime; lagrime di tenerezza e di riconoscenza.
Negli ultimi mesi la moglie, col fratello e la mamma si diede attorno, per metter su la casetta. La trepidazione di Fabio Feroni divenne in quei giorni più che mai angosciosa. Sudava freddo a tutte le espressioni di giubilo della sposina, soddisfatta della compera di questo o di quel mobile.
- Vieni a vedere... vieni a vedere... - gli diceva Dreetta.
Con tutte e due le mani egli avrebbe voluto turarle la bocca. La gioja era troppa; quella era anzi la felicità, la vera felicità raggiunta. Non era possibile che non accadesse da un momento all'altro una disgrazia. E Fabio Feroni si mise a guardare attorno e avanti e indietro con rapidi sguardi obliqui per scoprire e prevenir l'insidia del caso, l'insidia che poteva annidarsi anche in un granellino di polvere; e si buttava con le mani a terra, gattone, per impedire il passo alla moglie se scorgeva sul pavimento qualche buccia su cui il piedino di lei avrebbe potuto smucciare. Ecco, forse l'insidia era là, in quella buccia! O forse... ma sì!, in quella gabbia lì, del canarino... Già una volta Dreetta era montata su un sediolino, col rischio di cadere, per rimetter la canapuccia nel vasetto. Via quel canarino! E alle proteste, al pianto di Dreetta, egli, tutt'arruffato, ispido, come un gatto fustigato:

- Per carità, - s'era messo a gridare, - ti prego, lasciami fare! lasciami fare!
E gli occhi sbarrati gli andavano di continuo in qua e in là, con una mobilità e una lucentezza che incutevano paura.
Finché una notte ella non lo sorprese in camicia con una candela in mano, che andava cercando l'insidia del caso entro le tazzine da caffè capovolte e allineate sul palchetto della credenza nella sala da pranzo.
- Fabio, che fai?

E lui, ponendosi un dito su la bocca:

- Ssss... zitta! Lo scovo! Ti giuro che questa volta lo scovo... Non me la fa!

Tutt'a un tratto, o fosse un topo, o un soffio d'aria, o uno scarafaggio sui piedi nudi, il fatto è che Fabio Feroni diede un urlo, un balzo, un salto da montone, e s'afferrò con le due mani il ventre gridando che lo aveva lì, lì, il saltamartino, lì dentro, lì dentro lo stomaco! E dalli a springare, a springare in camicia per tutta la casa, poi giù per le scale e poi fuori, per la via deserta, nella notte, urlando, ridendo, mentre Dreetta scarmigliata gridava ajuto dalla finestra.